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Soluzione Group Magazine - Opinione pubblica

Esiste ancora l’opinione pubblica?

L’opinione pubblica negli anni ’80

Negli anni ’80 l’opinione pubblica era una cosa seria: prendeva forma tra le colonne dei quotidiani, nei salotti televisivi, nei dibattiti strutturati. Era il prodotto di una sintesi collettiva, spesso mediata da giornalisti e intellettuali. Se volevi farti un’idea, dovevi leggere, guardare, ascoltare. Non c’erano scorciatoie, e soprattutto non c’era un algoritmo a decidere cosa mostrarti.

Era un processo lento, forse anche noioso, ma dava il tempo di sedimentare le opinioni. Oggi quell’attesa sembra un lusso vintage, roba da chi ancora compra i giornali di carta la domenica mattina.

L’infosfera e la trasformazione del dibattito

Oggi quell’equilibrio è stato travolto da un nuovo ecosistema comunicativo che il filosofo Luciano Floridi ha definito infosfera: un flusso continuo di contenuti, dati, stimoli, fake news e breaking news che plasma la percezione collettiva in tempo reale.

Nell’infosfera, l’opinione pubblica non è scomparsa: si è trasformata in un mosaico instabile, emotivo e frammentato. Non si forma più dal confronto, ma dalla contaminazione, alimentata da feed personalizzati, allenati per mostrarci ciò che vogliamo vedere, non quello che dovremmo sapere. È una dimensione dove la riflessione è sacrificata sull’altare della reazione istantanea, dove il tempo tra “penso” e “reagisco” si è ridotto allo spazio di uno scroll.

L’effetto collaterale? Ogni persona si muove in una bolla che sembra enorme ma è fatta di specchi: leggiamo mille opinioni che in realtà ripetono la nostra. Così l’opinione pubblica diventa una somma di micro-pubblici autoreferenziali, sempre pronti a esplodere in trend temporanei che durano meno di un ciclo di notizie.

La reputazione nell’era dei feed

Per chi lavora nel marketing di prodotto, nella grande distribuzione o nelle PR digitali, questo scenario è una sfida ma anche un’occasione. Un brand può essere celebrato per un gesto coraggioso e criticato per un dettaglio trascurato nello stesso pomeriggio. La reputazione si costruisce (e si demolisce) nella velocità di uno scroll.

E qui sta la differenza con il passato: la reputazione non è più un capitale che si accumula lentamente, ma un saldo ballerino che può crollare in una notte. Una recensione negativa virale, un hashtag ironico, un commento di un influencer: basta poco per spostare l’ago della bilancia.

Le Pubbliche Relazioni non possono restare un megafono. Devono evolversi in regia strategica: ascoltare le conversazioni, interpretare segnali deboli, anticipare scenari. Non si tratta più di “gestire i media”, ma di navigare una mappa dove i media sono tutti e nessuno: dal giornalista al creator, dal cliente insoddisfatto su Trustpilot al dipendente che scrive su LinkedIn.

Navigare un’opinione pubblica frammentata

La coerenza narrativa e la capacità di generare valore nelle relazioni devono guidare ogni messaggio, ogni interazione, ogni crisi. L’opinione pubblica esiste ancora, ma non è univoca né lineare: è diffusa, orizzontale, spesso emotiva.

Per i brand il punto non è “essere presenti” a tutti i costi, ma capire quando e come entrare nella conversazione. L’assenza può essere una scelta strategica tanto quanto la presenza. Non sempre serve commentare l’argomento del giorno: in un rumore costante, il silenzio può valere più di un comunicato frettoloso.

I brand che vogliono restare rilevanti devono imparare a navigarla con sensibilità e visione. Non basta più “alzare la voce”: oggi la vera sfida è meritarsi l’ascolto. E meritarselo significa uscire dal linguaggio prefabbricato, rinunciare ai comunicati fotocopia e osare un tono autentico. Perché nell’infosfera non vince chi parla di più, ma chi riesce a farsi prendere sul serio.