AVON
Avon, brand beauty sinonimo di empowerment femminile per eccellenza, dal 1886 offre alle donne prodotti di qualità a prezzi accessibili e opportunità di guadagno ad oltre 2 milioni di rappresentanti nel mondo.
L’ecosistema omnicanale offre ai consumatori l’accesso ai prodotti Avon quando, dove e come vogliono. Tutti i prodotti di bellezza e cura della persona Avon sono approvati nell’ambito del programma Leaping Bunny di Cruelty Free International.
Avon è per il progresso delle donne: crede nell’ascolto dei loro bisogni, nella voce delle questioni che contano e nella creazione di un cambiamento positivo per le persone e il pianeta. Attraverso Avon e Avon Foundation, sono stati donati oltre 1,1 miliardi di dollari ad associazioni, enti e fondazioni attive nella lotta al cancro al seno e alla disparità e violenza di genere. Avon fa parte del Gruppo Natura &Co.
FOLCO GERVASUTTI
Con quasi 20 anni di esperienza nella comunicazione corporate ad ampio spettro, vanta esperienze nelle media relation, ufficio stampa, public speaking coaching, ghost writing, speech writing, branded content, ADV planning, employer branding e comunicazione social e interna.
Viene dal mondo delle agenzie, in particolare MSL per Volvo, Manfrotto, Opodo, Sonae Sierra e CementiRossi; Hill & Knowlton per Procter&Gamble, Kellogg, McDonald’s, InterContinental Hotels Group e L’Oreal; in AIGO per Etihad Airways, Katara Hospitality, Ente del Turismo del Qatar ed altri.
Approda all’interno del mondo aziendale nel Gruppo OneDay, start up factory che ha lanciato ScuolaZoo, WeRoad, ZooCom e altre aziende con focus sui Millennial e la GenZ, per poi proseguire in Voi Technology, scale up svedese nella sharing mobility e, oggi, in Avon Italia come Corporate & Product PR Supervisor Italy.
AVON: È ALLE PR CHE SPETTA LA GESTIONE DI UN BUDGET PER IL BRANDED CONTENT
Gervasutti, PR Manager: “Le logiche di ufficio stampa degli anni Ottanta e Novanta sono superate. Si tratta di avere un approccio giornalistico con i contenuti commerciali”
Quali sfide attendono le PR nel prossimo futuro, parlando in generale?
Il futuro è già qua: le sfide sono tante, così come sono tanti i problemi. La prima riguarda la crisi dei media: i lettori di carta stampata sono sempre meno e la domanda che noi PR ci facciamo è se valga la pena investire tempo e risorse per questo tipo di testate oppure se sia più redditizio puntare tutto sull’online e sui social. La risposta è difficile perché, se è vero che la carta ha meno lettori, rimane sempre uno strumento di comunicazione concreto, durevole e più autorevole, mentre l’online, almeno quello “immediato” e non relativo alla ricerca proattiva da parte dell’utente, è più volatile.
Una cosa è certa: entrambi, per vivere, hanno bisogno di investimenti. Se l’azienda è molto finanziaria, un approccio più tradizionale legato alla relazione PR-giornalista basata su scambio di informazioni, anteprime o esclusive può ancora reggere. Ma se la comunicazione è più di brand, di servizio o di prodotto, entra in gioco la parte commerciale e, si sa, gli spazi editoriali dedicati vanno di pari passo all’ammontare degli investimenti dell’inserzionista. Non condanno questa politica, ne prendo atto, mentre molti esperti PR vivono ancora questa professione secondo le logiche che andavano bene negli anni ’80, ’90 o nel primo decennio del nuovo millennio.
La sfida è far capire alle aziende che anche la comunicazione, pure quella corporate, ha bisogno di un budget per sostenere dei messaggi chiave veicolati attraverso il brand journalism, che è alla base del branded content ed è più autorevole di un banale pubbliredazione, che ormai è da considerare uno strumento pubblicitario, anche superato.
Avvalersi anche dello strumento monetario non è da intendersi come una resa a una comunicazione di minor valore. È semplicemente la fotografia dello stato attuale dei media, che hanno bisogno di “supporter” e inserzionisti anche per condividere notizie di qualità e in cui l’azienda mette a disposizione il contenuto, la storia e spesso anche i dati. Il giornalista, dall’altra parte, sviluppa un contenuto dal taglio non pubblicitario, aggiungendo informazioni di scenario o di industry.
Purtroppo si fatica a capire che l’essere supporter e partner di editori giornalistici significa rendere le aziende co-protagoniste di un giornalismo informativo al servizio del lettore. Non pubblicità, ma informazione supportata.
Negli USA e in UK la prassi è che il budget per il branded content sui gruppi editoriali passi per la divisione Communication o PR delle aziende. In Italia, invece, si pensa ancora che la comunicazione PR sia “quella senza budget”, mentre il marketing sia “con budget”. Ma non funziona più così.
Come prevedete di affrontare queste sfide nella vostra azienda?
Avon ha compreso molto bene questo processo e con lungimiranza mi ha dato gli strumenti per realizzare al meglio il branded content plan. Ha capito che bisogna andare oltre le vecchie convinzioni se si vuole essere efficaci. Il budget, quindi, è stato suddiviso tra le PR e il marketing. La collaborazione con i miei colleghi è massima, così come la fiducia.
Parliamoci chiaro: i giornalisti hanno tantissime notizie, smettiamo di pensare che aspettino noi. Se non ci siamo noi c’è altro, sono inondati di informazioni e non bastano più i canali classici di conoscenza. Le logiche sono ben altre.
Ciò che fa Avon è offrire contenuti e costruire un taglio che interessa a entrambi, in un’ottica di reciprocità: l’esistenza dei media, lo ripeto, è nell’interesse di tutti. In definitiva si tratta di avere un approccio giornalistico ai contenuti commerciali, di stendere una pianificazione ed essere in grado di fare una buona negoziazione. Non vedo nulla di male in questo.
C’è un progetto/campagna di PR della quale siete particolarmente orgogliosi?
Sono molto fiero di stare in Avon in generale: sono in un’azienda fatta per la maggior parte da donne, che ha una linea di prodotti solidali e che si impegna per la lotta al tumore al seno e alla violenza di genere.
Da ottobre sta supportando la borsa di studio di un anno di un giovane ricercatore dello IEO – l’Istituto Europeo di Oncologia – per la ricerca sui tumori al seno più aggressivi. A livello PR lo abbiamo aiutato a farsi un nome con interviste e spazi sui media.
Abbiamo appena terminato un progetto anti bullismo e anti sexting nelle scuole italiane in dieci tappe, presentando un decalogo.
Questi progetti hanno avuto risonanza: non notizie di massa, certo, ma di qualità. In alcuni casi less is more, ricordiamolo sempre. Questi articoli hanno generato commenti e telefonate, contatti proattivi, profondi, più di altre notizie.
Quanto e in che modo il top management aziendale è coinvolto nelle strategie di PR aziendali?
Il management è sempre coinvolto e sono lieto di rivestire il ruolo di “consulente” fidato in questo. Speech, media training, presenze in contenitori qualificati: sono tutti strumenti che utilizzo regolarmente.
Le pagine LinkedIn del General Manager e il suo personal branding passano per un piano editoriale condiviso.